Inclusione lavorativa e Responsabilità Sociale d’Impresa

Leonardo Callegari è un sociologo della cooperativa C.S.A.P.S.A. (Centro Studio Analisi di Psicologia e Sociologia Applicate) la quale collabora dal 2010 con AILeS, associazione di promozione dell’ inclusione lavorativa e sociale delle persone svantaggiate, tramite il conferimento del Premio Azienda Solidale alle imprese profit più collaborative, rappresentando un’importante realtà in tema di responsabilità sociale d’impresa e inclusione delle persone svantaggiate sul territorio bolognese.

 

Parlando di responsabilità sociale d’impresa si possono intendere cose abbastanza diverse tra loro, accomunate dal fatto che l’azienda le attua mossa da motivazioni etiche e di immagine: voi come la intendete?
Quando si parla di responsabilità sociale d’impresa intendiamo una scelta di politica aziendale ma ancor prima culturale che un’impresa assume rispetto a quelle che sono le modalità più tipicamente filantropiche. Difatti, rispetto alle cosiddette opere di bene che possono esser fatte da un’impresa che destina una parte dei suoi profitti per opere caritatevoli (parliamo di filantropia), per responsabilità sociale d’impresa in senso stretto si intendono quei comportamenti organizzativi e orientamenti di politica aziendale che tengono conto delle esigenze della collettività entro cui si inserisce quella azienda, dell’ambiente e dei vari interlocutori con cui l’impresa si rapporta, che non possono essere solo i soci azionisti o coloro che hanno un interesse diretto imprenditoriale speculativo. Quando parliamo di responsabilità sociale d’impresa ci riferiamo a un segmento molto specifico, che di solito viene trascurato nelle iniziative intraprese dalle aziende, vale a dire quello che riguarda l’inclusione lavorativa e sociale delle persone svantaggiate, disabili o in situazioni di disagio. Si tratta di un segmento particolarmente significativo dove un’azienda consente al proprio interno la realizzazione di percorsi di socializzazione lavorativa, di apprendimento, ma anche di realizzazione di processi volti all’integrazione e all’inclusione di persone svantaggiate. Quando si parla di processi di inclusione lavorativa e sociale non intendiamo esclusivamente la persona che viene assunta da un’azienda, ma il reale processo inclusivo che si avvale delle buone pratiche nelle varie fasi del processo: ad esempio la realizzazione di uno stage, di un tirocinio o di una work esperience possono dare un contributo importante al processo inclusivo. Viceversa ci possono essere casi di inserimento lavorativo occupazionale, quindi di persone assunte in un’azienda anche per obbligo giuridico (con la legge 68/99) dove magari la persona è assunta ma non è inclusa e integrata ma si trova in una posizione isolata in un contesto lavorativo escludente. Questo intendiamo per responsabilità sociale d’impresa e questo cerchiamo di promuovere sul territorio provinciale esaltando, attraverso dei metodi distintivi, quelle imprese che collaborano in questo senso.

 

Tra gli strumenti che riconoscono i meriti delle aziende c’è il  Premio Azienda Solidale. Che cos’è?
Il Premio Azienda solidale viene rilasciato dall’associazione A.I.L.eS., di promozione dell’ inclusione lavorativa e sociale delle persone svantaggiate (con C.S.A.P.S.A. tra i suoi enti fondatori), in collaborazione e con il patrocinio dell’Alma Mater – Università di Bologna. Il Premio vuole dare valore ai comportamenti socialmente responsabili sul territorio provinciale che hanno dimostrato nell’anno di aver accolto persone svantaggiate nei propri contesti lavorativi, rispettando i dieci criteri di base più ulteriori cinque di merito aggiuntivo individuati dal nostro regolamento. Alla luce di una valutazione fatta tramite un’intervista al referente aziendale, ma prima ancora mediante segnalazioni di aziende meritevoli che arrivano dai servizi o enti preposti come il nostro, viene riconosciuto un premio simbolico, un logo che l’azienda può apporre dove ritiene opportuno all’interno del suo contesto comunicativo. È uno strumento di incentivazione, un modo per dare evidenza a dei comportamenti virtuosi sul versante della responsabilità sociale d’impresa applicata all’inclusione; vorrebbe essere anche un volano emulativo rispetto alla possibilità che questi comportamenti si diffondano al fine di instaurare con le aziende premiate un rapporto di collaborazione non occasionale ma stabile e integrato, con la consapevolezza che tra le aspettative dell’aziende c’è anche quella di avere non solo un ritorno d’immagine ma anche economico. Quest’ultima aspettativa può essere realizzata se le istituzioni (enti locali, stazioni appaltanti) si avvalgono di incentivi, sgravi fiscali e contributi economici. Su questo versante qualcosa è avvenuto: ad esempio il Comune di Bologna ha adottato un regolamento che prevede l’assegnazione di una percentuale – dal 3 al 5% – degli appalti alle imprese che includono persone svantaggiate (aziende profit o cooperative sociali). L’auspicio è che un riconoscimento simbolico come il Premio Azienda Solidale possa tradursi in un punteggio aggiuntivo in una gara d’appalto, dando così un beneficio tangibile per le aziende e per il contesto ambientale in cui operano. In questo modo gli Enti locali potrebbero riconoscere alle aziende premiate dei vantaggi sulla fiscalità locale, riduzioni ad esempio sulle tasse pubblicitarie, sugli oneri di urbanizzazione, sullo smaltimento dei rifiuti, agevolazioni nelle pratiche burocratiche o in determinate forme di accesso agli atti della Pubblica Amministrazione ecc. Questo però è un piano complesso che presenta diverse complicazioni: dalla crisi economica che attraversa il nostro Paese dal 2008 fino al potere decisionale concentrato spesso a livello nazionale che sottrae spazi di manovra autonomi ai contesti istituzionali locali.

 

Ci sono dei casi di aziende solidali che si sono contraddistinte particolarmente in questi anni?
Il Premio, giunto alla quarta edizione con circa 90 aziende premiate (alcune di esse anche più volte), ha visto diverse imprese che si sono contraddistinte: una di queste è sicuramente la “Felsineo” di Zola Predosa impegnata nella produzione della mortadella. Questi tipi di realtà  hanno dato prova di un comportamento che si spinge a collaborare ai programmi di inclusione portando ad esempio la propria testimonianza in momenti pubblici e nelle varie occasioni in cui viene conferito il Premio, il quale si accompagna solitamente a un seminario fatto presso la Sala dell’VIII Centenario dell’Università di Bologna. Si tratta di aziende che hanno un radicamento sul territorio, che appartengono alla comunità e vedono l’impresa protagonista sul territorio non solo a livello economico ma anche culturale ed educativo, ad esempio nei rapporti con le scuole.

 

In che modo, all’interno di questi processi, emerge il carattere volontaristico?
Sicuramente le aziende che partecipano a questi processi lo fanno su base volontaristica, non ci sono obblighi di legge o di orientamenti comunitari in materia.  Ad esempio la partecipazione di aziende con il proprio personale tecnico in attività formative con persone svantaggiate è un comportamento volontaristico che va riconosciuto. Questo rappresenta un aspetto importante, così come può essere fondamentale la presenza,  all’interno delle aziende, di persone disposte ad organizzarsi nel trasporto sociale, cioè aiutando a raggiungere il luogo di lavoro chi non dispone di un mezzo proprio, così come il supporto all’interno delle aziende laddove mancano tutor professionali (anche per via della mancanza di fondi pubblici) con figure che si prestano su base volontaria e con un minimo di formazione, rappresentano elementi utili e preziosi. Infine riguardo al volontariato riconducibile al Terzo Settore, le diverse realtà territoriali potrebbero contribuire attivamente anche nella costruzione dei rapporti, individuando le diverse disponibilità aziendali nella partecipazione a questi percorsi di inclusione.

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