Cosa c’è di strano ad alzarsi la mattina, preparare il caffè, rifare il letto e prendere l’autobus per andare al lavoro? Apparentemente niente, ma le cose cambiano se ti chiami Elena e hai la sindrome di Down. Mia figlia oggi ha 35 anni.
Diventi genitore nel momento stesso in cui scopri di aspettare un figlio, se poi è la seconda volta, pensi che tutto sarà più facile. E invece no. Ti dicono che tuo figlio ha quel cromosoma in più che lo costringerà ad una vita in salita. Il misto di stati emozionali che si prova è qualcosa che non si può dimenticare: per primo arriva lo shock e non importa quanto puoi essere preparato al peggio, il boccone è amaro e difficile da digerire; poi una sensazione d’impotenza: sei disorientato, quasi paralizzato, forse inconsciamente ma non troppo, arrivi a provare anche un senso di colpa, finché non sopraggiunge la rabbia e ti chiedi: perché proprio mio figlio?
Alla fine trovi il coraggio di accettare questo vortice che ti travolge e trasformarlo in una spinta che ti scuota dal torpore e dall’angoscia, ti guardi intorno e vedi che non sei solo e che molti genitori affrontano le tue stesse sfide, soffrono per gli stessi insuccessi e gioiscono per i trionfi dei propri figli.
Tra genitori di ragazzi disabili si fa gruppo, ci si confronta, se poi come noi, vivi in un paese in cui tutti si conoscono e le notizie fanno il giro ancora prima che le cose accadano, allora la solidarietà diventa ancora più preziosa; ad esempio quando, preoccupato, mi lamentavo con altri genitori di come Elena volesse scegliere da sola i vestiti da comprare, mi dicevano di esserne lieto ed orgoglioso, mia figlia si
comportava da adolescente. Ora capisco che quei suoi piccoli gesti di ribellione rappresentavano un altro passo verso la sua indipendenza nella vita.
Parlando con altri padri e madri, una preoccupazione comune è spesso emersa: “Cosa sarà di mio figlio quando io non ci sarò più?” La perdita di mia moglie mi ha poi obbligato a ragionare su questo ancora più di quanto già non facessi insieme a lei.
Chiunque desidera sapere che il proprio figlio sarà autonomo ed indipendente, ma per noi genitori di “ragazzi speciali” questo è ancora più vero. Così è nata la Fondazione Le Chiavi di Casa Onlus che, con il progetto “Durante Noi…per il Dopo di Noi”, aiuta i nostri figli ad avere una vita indipendente.
Grazie a questa iniziativa, mia figlia Elena vive fuori di casa già da dieci anni e nel corso del tempo l’ho vista trasformarsi sotto i miei occhi, diventare donna; certo, non posso dire che sia stato un percorso semplice, ma con pazienza e forza di volontà Elena ha trovato
un equilibrio e una quotidianità di cui va molto fiera e quando vado a trovarla – ovviamente solo se invitato! – nell’appartamento che condivide con altre due ragazze e Maia, la loro badante, beh non posso che esserne orgoglioso.
Elena ha il suo lavoro, ci va da sola in autobus ogni mattina, frequenta diverse associazioni di volontariato con cui svolge molte attività ricreative, dal basket ai balli latino-americani… che adesso vanno tanto di moda! Tutto questo sempre insieme al suo fidanzato Guido… sì, perché adesso abbiamo anche un fidanzato di cui “preoccuparci”!
Nonostante i suoi mille impegni, Elena trova ancora un po’ di tempo per il suo papà e ogni tanto le piace passare il week end da me, perché sa che io ne approfitto per viziarla un po’ e se le dico: “Beh, Elena, non hai neanche rifatto il tuo letto! Fai così anche a casa tua?”
“Va beh papà, ma lì è diverso, è casa mia! Qua ci pensi te!”. Questa è la sua risposta.
Quando la domenica ci salutiamo e la vedo andarsene, mentre stringe orgogliosa il pupazzetto attaccato al mazzo di chiavi tutto suo, che aprono la porta di un appartamento tutto suo, io mi sento sereno e un forte senso di sollievo mi attraversa, perché ogni giorno mia figlia affronta la vita col sorriso e sento qualcosa che va oltre la speranza: la consapevolezza che un domani la mia Elena saprà andare avanti anche senza di me.
Le facce del volontariato de Le Chiavi di Casa
(Edizione 2014)