Guido Tersilli: Come andiamo signora Paoloni?
Paziente: Male.
Guido Tersilli: Vede che migliora? Ieri ha detto “malissimo”!
Film Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste
L’umorismo di Alberto Sordi nei panni del dottor Guido Tersilli ci permette di avvicinare in maniera leggera un tema e un’esperienza particolarmente interessanti, che riguardano un approccio innovativo alla salute delle persone e alle cure primarie.
Alcune persone si rivolgono al medico riferendo una determinata sintomatologia, eppure dagli accertamenti non risultano problematiche a livello organico. Nonostante le rassicurazioni e l’evidenza degli esami clinici, il malessere permane. Altre persone soffrono di patologie la cui sintomatologia è evidente, che sono riconducibili a una vera e propria somatizzazione di qualche disagio, anche se il collegamento non è sempre immediato. Vi sono poi situazioni in cui la richiesta del paziente va ben oltre il sintomo portato, eccedendo nella richiesta di ascolto e richiedendo di dedicare una quantità di tempo incompatibile con il lavoro ambulatoriale.
Casi di questo tipo sono oggetto di indagine della psicosomatica e di un approccio bio-psico-sociale alla salute. Si tratta di un modello che vede la persona nell’ambiente in cui è, dove tutte le relazioni tra persone e ambiente, tra facilitatori ambientali e barriere ambientali incidono direttamente sul suo stato di salute e possono essere lette come un nuovo modo di dare la cura.
Lo psicologo di base a Bologna: dalla teoria alla pratica
A Bologna, nel 2001, un gruppo di medici e psicologi bolognesi ha deciso di creare l’Associazione Centro Studi e Ricerche in Terapia Psicosomatica APS che coniuga ricerca, formazione e terapia nel campo della psicosomatica.
A parlarcene è la dottoressa Virginia Martelli, psicologa del Centro.
La nostra realtà è di per sé una peculiarità. Siamo nati vent’anni fa come gruppo di medici e psicologi che hanno scelto di percorrere insieme una strada e di relazionarsi in maniera paritaria – nel rispetto delle reciproche professionalità – per costruire un linguaggio comune rispetto allo studio e la presa in carico della salute delle persone in generale.
Fino al 2015 ci siamo mossi in ambito prettamente teorico, portando casi clinici e discutendone. Da questo dialogo è emersa la volontà di sperimentare sul campo l’affiancamento dello psicologo al medico di base. Il nostro presidente dottor Pellecchia ha aperto così le porte del suo studio associato della medicina di gruppo di cui era il coordinatore di via Parigi, dove lavorano 12 medici, alla presenza dello psicologo per un certo numero di ore la settimana. Raccogliendo i dati particolarmente positivi del primo anno di questo lavoro congiunto abbiamo capito che stavamo facendo una cosa innovativa e importante. Abbiamo poi abbiamo presentato il progetto alla Fondazione Del Monte di Bologna e Ravenna che ci ha preso sotto la sua ala e ci ha permesso di sviluppare nel tempo il servizio, insieme all’aiuto importantissimo di alcuni medici che hanno deciso di “portarci con loro” in altre medicine di gruppo, prima fra tutte la Dott.ssa Sara Montanari. Alla Fondazione si è aggiunto poi il contributo di Hera che sta credendo nel valore dell’iniziativa. Ora sono coinvolti undici ambulatori di medicina di gruppo e circa 50 medici di base. Speriamo che il numero possa aumentare ancora.
Offriamo principalmente una consulenza volta alla prevenzione. Poi ci confrontiamo con il medico perché abbia più chiaro il quadro del suo paziente, visto in una prospettiva più ampia. Su questo dialogo abbiamo costruito pian piano il progetto.
Come lavora lo psicologo accanto all’ambulatorio di medicina generale
Gli psicologi dell’Associazione sono presenti negli studi di medicina generale che aderiscono al progetto dalle 2 alle 4 ore settimanali, in uno spazio di ascolto dedicato e separato dall’ambulatorio dove riceve il medico. E ogni settimana si riuniscono in equipe per discutere insieme i casi clinici, sotto la supervisione gratuita degli psicoterapeuti senior del Centro. Il servizio prevede tre incontri gratuiti e un confronto tra medico e psicologo per ampliare la conoscenza dello stato di salute del paziente. In determinati casi dopo i primi colloqui può essere proposta una terapia breve di 10 incontri, o la partecipazione a dei corsi di gruppo specifici che, sebbene non a scopo di lucro, hanno un piccolo ticket di ingresso per responsabilizzare la persona nei confronti del percorso che ha scelto di affrontare.
Se all’inizio ricevevamo perlopiù chi aveva letto il volantino e ci aveva contattati senza passare dal dottore – racconta Martelli – ora siamo arrivati al 56% degli invii su indicazione del medico. Questo risultato è il segno di un’esperienza e una conoscenza reciproca positive che crescono nel tempo, supportate anche dalle evidenze dell’utilità di questo servizio. Ora siamo davvero percepiti come una risorsa. Finalmente abbiamo intrapreso un bel lavoro di rete, di equipe.
Ci sono casi in cui il medico ha capito che le somatizzazioni sono tali ma che il paziente è ben lontano dal capire che lo sono. Quindi al primo incontro è un po’ scettico, vede la psicologia come una sorta di cosa magica. Lì sta a noi offrire un po’ di cultura psicologica, spiegare chi siamo, cosa facciamo e perché. Ridurre lo stigma dello psicologo nella popolazione era uno degli obiettivi del progetto e dopo sei anni possiamo sentirci abbastanza soddisfatti. Le persone ora arrivano più motivate.
Lavorando insieme, medici e psicologi adottano un approccio bio-psico-sociale alla cura del paziente. Dobbiamo sempre cercare di contestualizzare la malattia nel ciclo di vita della persona – spiega Martelli – È adolescente? È giovane adulto? È neo-mamma? È in menopausa o andropausa? Sta vivendo dei life events, cioè quegli eventi di vita che sono imprevisti e che possono essere particolarmente stressanti come un lutto, separazione, gravidanza inattesa, pandemia e altro ancora?
Ad esempio, dopo la cura di una gastrite o una colite trattata con i farmaci, il medico magari dice al paziente “Ora che è passata la fase acuta è bene provare a capire perché è venuta”, e così ci invia la persona per sondare quali fattori psico-sociali possano avere inciso sull’episodio di malattia.
La parola ai pazienti
Qualche tempo fa, dopo un evento che ho affrontato bene, ma che certamente mi ha turbato, ho iniziato ad avere dei disturbi intestinali di cui non riuscivo a capire la causa e, contestualmente, la mia preoccupazione cresceva. Ho iniziato a diventare un po’ ipocondriaca, a volte mi sentivo quasi svenire. Temendo che stessi sviluppando qualche patologia, o che avessi qualcosa di pregresso, mi sono rivolta al medico di base. Lui da subito ha capito che si trattava di ansia. Io tuttavia ho chiesto di fare degli esami, perché avevo dei dolori fissi sul fianco destro e delle fitte dietro la schiena. Nonostante provasse a ripetermi che sono giovane e in salute, forse per tranquillizzarmi alla fine mi ha assecondata e ho fatto dei controlli. Era tutto a posto.
Ma non riuscivo a capacitarmi. Andare da lui ormai era diventata un’ossessione. Continuavo a chiedere visite anche se non ne avevo bisogno, e non mi rasserenavo affatto. Finché un giorno, mentre ero in sala d’attesa, ho letto sulla bacheca il volantino dello psicologo di base. Così ne ho parlato con il medico che, entusiasta, fu subito d’accordo.
Con la dottoressa Martelli mi sono trovata a mio agio, ho provato empatia. Già dal primo incontro mi si è illuminato il mondo e ho capito che era ciò di cui avevo bisogno, e non di quel poveretto del mio medico di base che stavo torturando con le mie richieste. Non avevo mai visto l’ansia come un problema, le avevo dato una connotazione diversa, come la paura di affrontare un esame o di affrontare qualcos’altro. Poi ho capito che la mia ansia non era soltanto paura, ma era legata a tanti pezzetti della mia vita che stavano iniziando a cambiare. Stavo crescendo, si avvicinando la fine del mio percorso universitario e ho iniziato a prendere consapevolezza di tanti altri aspetti della vita. Infatti l’evento che ha scatenato tutto era stato il fatto che il mio papà si fosse sentito male. Era stato un malessere normalissimo. Ma io in quel momento mi sono sentita travolta. E ho iniziato a sviluppare ansia, quella vera, di cui si può occupare solo lo psicologo. Aggrapparsi alla famiglia o agli amici non basta.
Insieme alla dottoressa ho finalmente tradotto tutte le mie preoccupazioni, tutti i significati del mio stare male che non erano legati necessariamente all’evento traumatico, e li abbiamo affrontati insieme. Sono sempre stata una persona dinamica, ma in quel periodo mi sentivo spenta, e volevo trovare un modo per tornare a essere me stessa. Lo avevo trovato.
La dottoressa è stata fantastica, ma mi ha sempre detto che gran parte del lavoro l’ho fatto io con la voglia di affrontare in maniera diversa questa cosa. Ho capito che l’ansia è un aspetto latente parte di me, della mia emotività. Ho imparato ad accettarla, a riconoscerla, ad affrontarla. Ho capito che molti malesseri sono legati a come gli altri vorrebbero che fossi. I risultati migliori della terapia li ho potuti vedere nel tempo, nei mesi successivi. Ho acquisito consapevolezza, ho migliorato il modo di relazionarmi con me stessa e con gli altri. E questo mi fa stare bene.
Successivamente, parlando con il medico ho anche capito di avere il colon irritabile, un fastidio strettamente collegato alla sfera psicosomatica. Mi sono tranquillizzata ancora di più e ora affronto tutto in maniera diversa, correttamente. È una sindrome che hanno tantissime persone e bisogna solo assecondarla con qualche accorgimento.
Ora quando inizio ad avere uno stato d’ansia lo riconosco, mi fermo, cerco di capire che cosa lo ha provocato. Prima invece erano battiti accelerati, stretta allo stomaco, chiamavo mia mamma per tranquillizzarmi e scappavo dal problema senza riuscirci davvero. Non è più così. Ho cambiato completamente modo di vivere. Ho 24 anni e sto davvero crescendo. Ho cambiato punto di vista su di me ed è un bellissimo work in progress.
La mia storia inizia qualche anno fa, quando ho dovuto compiere una scelta difficile ma necessaria. Dopo 30 anni in un’azienda dove ho dato tutta me stessa, senza ottenere in cambio nulla se non il peggio possibile, ho deciso di chiudere il rapporto di lavoro.
Dopo il primo crollo ho tentato e ritentato perché non volevo darla vinta a nessuno. Ma la costante mancanza di rispetto, le urla, l’incapacità relazionale da parte di chi dovrebbe saper riconoscere e trattare con la propria forza lavoro mi hanno portata all’ultimo crollo verticale. La misura era davvero colma. Congedo, malattia e alla fine ho compiuto l’unica scelta possibile. E sono stata fortunata a potermelo permettere. Certo non è stato semplice, ma almeno ho riacquistato la mia vita.
Da allora mi segue una dottoressa della ASL che, accanto alle cure mediche per superare il momento più critico, ha sempre ritenuto opportuno di affiancare una terapia psicologica. Sarei anche in lista d’attesa presso il servizio pubblico, ma purtroppo i tempi d’attesa sono molto lunghi. Così per caso, mentre mi trovavo in sala d’attesa nello studio del medico di base, ho letto il volantino dell’associazione. Un po’ per la consapevolezza di avere bisogno di un supporto psicologico e un po’ per curiosità ho deciso di chiamare.
Ho incontrato per tre volte la dottoressa Marseglia, ho parlato con lei di quello che mi era successo e ho trovato ascolto, comprensione. Anche se avevo già sviscerato la mia situazione con la dottoressa della ASL e stavo meglio perché la fonte principale dei miei problemi era ormai alle spalle, questa nuova opportunità è stata fondamentale per rileggere alcuni aspetti del problema con una chiave diversa. Io di carattere sono una persona molto solida, nel senso di terrena, pratica, e questo sostegno mi ha aiutato a recuperare quella solidità e la capacità di stare con i piedi per terra.
Dopo i tre incontri, su consiglio della psicologa ho seguito un percorso di mentalizzazione molto utile e bello, parzialmente o interamente finanziato dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. Ho conosciuto persone molto diverse da me per carattere, situazione di vita, problemi. Ci sono stati dei bei momenti di condivisione, di benessere. Poi ho scelto di seguire il primo step di un corso di meditazione e ora sto frequentando il secondo step. Non sono gratuiti, ma hanno un prezzo accessibile e ho valutato che potessero giovarmi. In effetti imparare a meditare in questo periodo di grande stress e agitazione mi sta aiutando molto. È una pratica che porta a rilassarsi, a rilassare parti del nostro corpo che sono più sensibili alle somatizzazioni. Se la meditazione da sola non può risolvere i problemi, è però vero che aiuta a stare meglio. Recuperando uno stato di rilassamento la mente e il corpo hanno la possibilità di affrontare le cose da un’altra prospettiva, con un altro spirito, una maggiore energia. Dopo il pesante stop imposto dal Covid finalmente ho potuto riprendere a fare volontariato. Quando torno a casa sono così stanca che mi addormento subito e non riesco più a meditare come prima. Ma va bene così, medito quando ne sento il bisogno. Per respirare e rilassarmi quando fatico a prendere sonno, o quando ho un momento di rabbia o di tristezza.
A proposito, un altro fattore che si lega positivamente alla mia salute è il volontariato. Ho iniziato mentre stavo lasciando il lavoro. Il primo impatto era stato forte. Ero spaventata e pensavo che non facesse per me, forse anche per il momento generale che stavo vivendo. Poi ci ho ripensato e non ho più smesso. Condividere, dare molto e ricevere di più in termini di affetto e relazione è davvero una cosa unica. È come avere una seconda famiglia.
Finalmente ora posso dire di stare davvero meglio. Le scelte fatte, il volontariato, le cure della dottoressa della ASL, il percorso psicologico intrapreso con l’Associazione e la mia voglia risalire la china sono tasselli fondamentali, mi hanno portato davvero beneficio. E piano piano, per gradi, sto riducendo la terapia farmacologica.
La parola ai medici
Avere lo sportello psicologico all’interno dei locali della medicina di gruppo offre ai pazienti la corretta percezione del servizio come parte integrante delle cure primarie.
Dal mio punto di vista, questo ha migliorato il rapporto tra medico e paziente perché ha permesso di far emergere delle situazioni di disagio, a volte lievi, che però incidono sulla salute generale. Aperta la porta del colloquio con lo psicologo tutto diventa molto più semplice. Parlare di depressione e di ansia non viene più visto come qualcosa da nascondere o di cui vergognarsi, ma come qualcosa di naturale.
Io ho potuto conoscere meglio i miei pazienti grazie a una visione più globale della persona, e loro stessi hanno migliorato il rapporto con me, si sentono più sereni nel manifestare lo stato di malessere.
La formula è vincente. Probabilmente il fatto che si tratti di un servizio limitato nel tempo, sia offerto nel luogo delle cure primarie e non comporti l’accesso a una struttura pubblica più complessa di carattere psichiatrico stimola maggiormente i pazienti a provare, perché normalizza la comprensione del disagio psichico come un fenomeno naturale, magari transitorio e non cronico, spesso connesso a momenti particolari della propria vita.
Insieme, medico, paziente e psicologo, possiamo trattare il disagio psichico che si manifesta con dei disturbi d’organo sia agendo sul sintomo, con la terapia farmacologica laddove necessaria, sia con la valutazione dello stato della salute mentale. L’approccio psicologico offre alla persona una migliore e più ampia percezione del proprio malessere e, in alcuni casi, ha permesso una migliore gestione della situazione da parte del paziente stesso, andando a mitigare la sintomatologia e di conseguenza ridurre la terapia farmacologica.
Tra le parti del corpo più coinvolte dalla somatizzazione di un disagio psichico ci sono quelle dell’apparato digerente, quali stomaco, intestino, colon. Reagire con mal di stomaco, stipsi o diarrea, coliti, mangiare troppo o troppo poco sono cose comuni. Connessi al disagio psichico possono esserci anche dei disturbi cardiaci come oppressione toracica, cardiopalmo, tachicardia, e altri disturbi ancora quali cefalea, astenia, dimagrimento.
Credo che avvicinare la professione medica a quella psicologica sia particolarmente positivo, perché curiamo la persona nella sua integrità. Recuperiamo così il significato più alto e corretto attribuito alla salute che è un servizio alla persona.
Il confronto con gli psicologi ci permette di essere più attenti e raffinati nel processo di anamnesi e nell’approccio generale con la persona. Ne beneficia non solo la qualità della cura, ma anche la relazione umana. Infatti abbiamo sviluppato più empatia nei confronti del paziente.
A volte dobbiamo curare le malattie, altre volte, purtroppo, dobbiamo e possiamo solo gestirle. Anche in questo caso l’apporto psicologico è servito molto ad entrambe le parti, medico e paziente, restituendo una dimensione umana alla malattia, alla relazione di cura, al senso stesso della vita.
Lo sportello psicologico nei locali della medicina di gruppo è un valore aggiunto da tutti i punti di vista.
Significa avere un servizio immediatamente disponibile a portata di ambulatorio senza dover fare altri step che magari allontanerebbero il paziente dalla presa in carico. E, dal mio punto di vista, avere uno strumento del genere si è rivelato un ausilio molto importante per noi e per i nostri pazienti, specialmente negli ultimi 12 mesi.
Con la pandemia ho notato l’insorgenza di molti disturbi riconducibili all’isolamento fisico, sia che si tratti di persone adulte che di ragazzi in fase adolescenziale e giovani adulti, sia alle problematiche derivanti dalla perdita del lavoro e al deterioramento dei rapporti sul luogo di lavoro. Questi disturbi, che poi diventano psicosomatici, sono riconducibili alla mancanza di confronto, allo stare soli, chiusi in casa e in sé stessi, alle tensioni sociali.
Le persone si rivolgono a noi come primo punto di riferimento per disturbi come l’insonnia, paure, disturbi dell’alimentazione sia in termini di dimagrimento che di aumento ponderale. Ed è chiaro che possono essere affrontati fino a un certo punto in sede ambulatoriale. Io come medico posso controllare i principali parametri vitali/ematici, dare consigli, suggerimenti dietetici, posso intervenire con terapie farmacologiche, psicofarmaci quando davvero necessario, fitoterapici per il sonno, dopodiché però bisogna occuparsene diversamente, come faccio quando invito i pazienti a rivolgersi al servizio psicologico.
Al di là degli interessi personali che mi avevano portato ad occuparmi degli aspetti psico-sociali e psico-dinamici già prima di intraprendere il lavoro come medico di medicina generale, il confronto con le colleghe psicologhe è diventato prezioso, con la possibilità di trarre anche degli spunti per andare a percepire determinati segnali nei pazienti e migliorare contestualmente l’approccio di cura. Il dialogo costante che si è instaurato tra le nostre figure professionali affina i metodi che abbiamo per intercettare i disturbi.
A dirmi che il servizio funziona non è soltanto il riscontro positivo e diretto da parte da parte di alcuni pazienti, ma anche il sapere che ce ne sono molti altri che vengono meno spesso da me rispetto al passato e magari dopo questo primo approccio con lo psicologo di base hanno scelto di effettuare un percorso terapeutico vero e proprio o comunque stanno meglio già dopo le tre consulenze gratuite.
Il ritorno di questo lavoro d’equipe c’è, e la consapevolezza è aumentata anche tra i pazienti. Parlano tra loro e questo facilita l’accesso al servizio, riducendo timori o vergogna. Avere l’ambulatorio psicologico accanto a quello del medico di base ci fa sentire tutti un po’ più normali, anche nel manifestare disagi e prendersi cura di alcune fragilità che possono evidenziarsi nel corso della vita.
Non era scontato che si facesse strada questo approccio bio-psico-sociale alla medicina ma per fortuna è così. Anzi, ritengo necessario andare sempre più in questa direzione, ampliando il lavoro di equipe. Questo già si fa nelle Case della Salute, ma sarebbe opportuno che anche nella medicina di gruppo del territorio, accanto allo psicologo ci fossero altre figure professionali, quali l’infermiere e il fisioterapista, l’assistente sociale. Avere questo tipo di multidisciplinarità sarebbe davvero auspicabile, ancora di più ora che si è visto, purtroppo solo con la pandemia, quanto il primo livello delle cure socio-sanitarie sia fondamentale nel contesto più generale di cura.
L’effetto pandemia
Il momento storico emergenziale sta incidendo sullo stato di salute mentale delle persone, ne sono testimoni le numerose ricerche condotte sulla popolazione a partire dall’inizio della pandemia, in particolare nel lock-down. Abbiamo dunque chiesto alla dottoressa Martelli di raccontarci come è cambiato il lavoro nell’ambito del progetto, anche se non esistono ancora dei dati numerici precisi, perché l’intensa operatività del gruppo non consente il tempo di soffermarsi su questo aspetto.
Con la pandemia abbiamo notato certamente un aumento di richieste di aiuto. Abbiamo ricevuto molte persone inviate dai medici che ci chiedevano loro stessi un parere. In un ambulatorio siamo passati da poche settimane di lista d’attesa ad un mese e oltre. I disturbi sono sempre gli stessi (ansia e depressione perlopiù). Stiamo cercando di offrire alle persone degli strumenti per capire perché si sentono così. A volte una persona inconsciamente sa perché soffre di insonnia, ma ha bisogno di un professionista che l’aiuti a ricucire i pezzettini.
Siamo sempre in allerta, sollecitati da notizie e prescrizioni continue, ogni giorno arriva una nuova variante del virus, dobbiamo sempre controllare di stare osservando correttamente le norme di prevenzione e igiene. La mente è continuamente impegnata a monitorare quello che fa e a fare delle scelte, come entrare o non entrare in un negozio, scegliere quale tipo di mascherina usare, ricordarsi di non toccare quella superficie o di non strofinarsi un occhio che dà fastidio. E poi c’è lo stato di allerta generale connesso al timore di ammalarsi, con tutto ciò che ne può conseguire. Ansia, paura per l’incertezza attuale e per il futuro: queste sono le costanti.
Gli studi ci dicono che di fronte a un evento traumatico attacchiamo, fuggiamo o reagiamo col freezing, cioè congelamento, come quando gli animali fanno finta di essere morti per non essere attaccati. È chiaro che se ci troviamo a vivere a lungo una o più delle tre versioni non stiamo bene. Incontriamo sempre di più persone con disturbi legati a questo stato. Ansia continua, ipocondria, disturbi del sonno, rabbia, impotenza. Posso aggiungere che anche noi come professionisti siamo più affaticati, ma lavorare in equipe e confrontarci anche in questo caso aiuta.Prima della pandemia, con alcuni dei pazienti avevamo formato dei gruppi di 10 incontri sulla tecnica della mentalizzazione volta al miglioramento delle relazioni interpersonali e allo sviluppo dell’empatia. Poi con il Covid ci siamo dovuti fermare con queste e ci siamo celermente attivati per creare altri 2 gruppi di meditazione, perché alle persone non interessava più il lavorare sulla relazione interpersonale, ma aveva più che altro un reale bisogno di calmarsi. E infatti il progetto specifico del 2021 è composto da corsi di training autogeno e meditazione, che possono essere intrapresi eventualmente dopo la prima consulenza. Si tratta di due tecniche che favoriscono uno stato di rilassamento.
Obiettivi per il futuro
- Allargare il progetto e portarlo anche in zone della città più complesse da un punto di vista sociale, economico e demografico dove l’Associazione non è ancora presente
- Sensibilizzare la popolazione sull’importanza della salute mentale e sul ruolo che la psicologia può giocare per prendersene cura, riducendo lo stigma nei confronti della disciplina
- Raggiungere una maggiore considerazione della psicologia di base anche a livello istituzionale, andando oltre il lavoro pur importantissimo che può svolgere una piccola Associazione locale di terzo settore, poiché la salute mentale è parte della definizione stessa di salute, e la psicologia di base costituisce un tassello fondamentale delle cure primarie.