Quali sono i fattori di che hanno portato alla crescita del fenomeno della Responsabilità Sociale di Impresa? Qual è il coinvolgimento del volontariato e degli altri attori sociali? Per rispondere a queste domande il Tavolo sull’Economia sociale della Regione Emilia Romagna ha promosso la ricerca Welfare di comunità e ben-essere: verso una nuova mutualità. Ne abbiamo parlato con il coordinatore scientifico Giuseppe Silvestris, psicologo sociale e collaboratore di Ervet (Agenzia di sviluppo della Regione).
Come possiamo definire la Responsabilità Sociale d’Impresa?
Dal mio punto di vista si può identificare come una serie di azioni che dovrebbero consentire all’impresa sia di conoscere quelli che sono i bisogni del territorio in cui vive, che di rapportarsi con quei soggetti che ne stanno costruendo le risposte.
Andando per differenza la Responsabilità Sociale d’Impresa non è soltanto l’atto donativo, ma un valore che deve riflettersi anche all’interno, nei confronti di coloro che vivono nell’impresa. Non si tratta dunque di un’ attività limitata alla comunicazione annuale, come se fosse una semplice etichetta, ma al contrario, la Responsabilità Sociale d’Impresa dovrebbe corrispondere ad un criterio di identità d’impresa, in quanto, se si desidera comunicare qualcosa verso l’esterno, è necessario aver prima costruito una buona immagine dentro; questo concetto va dunque interiorizzato nel tessuto dell’impresa a tal punto da costituirne la vita.
Cosa ha portato allo sviluppo di questo processo negli ultimi anni?
Si possono riconoscere differenti fattori: prima di tutto si deve prendere in considerazione il livello di cultura imprenditoriale che negli ultimi anni sta subendo un cambiamento decisivo. Le nostre imprese sono per la maggior parte di piccole-medie dimensioni, spesso a conduzione familiare e stanno assistendo ad un cambio generazionale che ha comportato l’avvento di una classe di imprenditori al passo con i tempi, più evoluta rispetto ai modelli organizzativi, alle iniziative, alle tecnologie della cultura dell’impresa.
Un altro fattore determinante può essere rintracciato nel tentativo delle imprese di essere punti di eccellenza, queste infatti hanno compreso come alcune variabili risultino strettamente funzionali al rafforzamento del business.
In ultima istanza, ciò che ha agito sono stati i fenomeni dell’attualità, come la crisi che esige una trasformazione delle modalità di pensare al futuro e allo sviluppo, ma anche il terremoto, per quanto riguarda la regione Emilia-Romagna, in cui le imprese insieme ad altri attori hanno iniziato a diventare parte attiva dei processi di ricostruzione. L’Emilia-Romagna infatti vanta di un tessuto di volontariato ed associazionismo che si è evoluto negli ultimi anni nelle forme organizzative, nelle modalità di condurre il proprio ruolo e questo ha cambiato anche le forme di integrazione, il tipo di rapporto tra profit e no profit e sta determinando anche una contaminazione.
Come nasce la vostra ricerca?
Per comprendere ciò che riguarda l’attuale ricerca è necessario fare un passo indietro, in quanto è nella prima indagine, “Un altro welfare: esperienze generative”, che sono emersi i presupposti dai quali partire per sviluppare un ulteriore percorso.
La prima ricerca nasce con il fine di capire quali siano gli elementi che connotano il sistema emiliano romagnolo quando si parla di terzo settore. Questa prima domanda, tuttavia, ha posto una questione che diventerà più rilevante, cioè l’esigenza di comprendere come il terzo settore nelle sue diverse componenti contribuisca allo sviluppo della regione e quali siano i suoi apporti rispetto allo sviluppo del territorio. Procedendo secondo questo esame ci si è trovati di fronte anche ad imprese profit e da qui è nata l’idea di sviluppare ciò che diventerà l’obiettivo di questa seconda indagine ovvero: comprendere come si sta muovendo l’impresa profit rispetto al concetto della costruzione di risposte ad esigenze, di processi di innovazione sociale, proposte che dunque hanno una loro validità sul piano del welfare.
Per sostanziare quest’apporto siamo partiti da un concetto teorico che è quello di “valore condiviso”. Valore, inteso come attenzione alle necessità dei singoli individui; condiviso perché si tratta di una lettura congiunta dei bisogni, che porta alla creazione di una risposta, frutto dell’unione tra terzo settore ed impresa. L’azienda si libera sia dai limiti di un’azione finalizzata al mero rafforzamento interno sia dai vincoli dati dalla contrattazione ed inizia ad interessarsi a ciò che riguarda anche il territorio.
Attraverso questa nuova forma di pensiero di valore condiviso è emerso che, mentre da una parte l’impresa costruisce risposte con gli altri, dall’altra aumenta la propria capacità di fare business, in quanto l’acquisizione di questi linguaggi che riguardano il rapporto con il territorio, diventano una formula che induce all’aumento della capacità dell’azienda di essere percepita, riconosciuta all’interno del mercato, producendo dunque un esito positivo anche all’interno del contesto aziendale.
Partendo da questo presupposto ci siamo chiesti se ci sono esperienze nel nostro territorio che possono corrispondere a questo nuovo modo di pensare.
Chi avete coinvolto per questa indagine?
Abbiamo utilizzato una modalità di coinvolgimento diretto dei soggetti che siedono al tavolo dell’economia sociale – Regione, terzo settore ed Ervet – ampliandolo ai soggetti rappresentanti dell’imprenditoria quindi: Camera di commercio regionale, Confindustria regionale, CNA regionale, e abbiamo chiesto loro di individuare sul territorio quei casi che fossero coerenti con questo nuovo concetto di valore condiviso. Per l’identificazione dei casi abbiamo dovuto fornire un aiuto, in quanto, a differenza della prima ricerca, questa volta siamo di fronte ad un’indagine di frontiera perché stiamo indagando qualcosa che solo in questo momento sta prendendo l’avvio. L’approccio è dunque differente, consiste nell’evidenziare segnali di nuove tendenze, che dopo essere stati raccolti dovranno essere esaminati e messi insieme coerentemente. Il nostro contributo per aiutare i soggetti nell’identificazione è stato quello di circoscrivere il campo a progetti che riguardano: l’abitare, il lavoro, la cura e l’ambiente. Inoltre si è escluso i progetti di welfare aziendale, di donazione, i progetti frutto di contrattazioni aziendali.
Successivamente siamo andati a verificare tre dimensioni nelle quali si sostanzia il concetto di valore condiviso. La prima è l’ambito sociale all’interno del quale le questioni da porsi sono per esempio quali siano i rapporti che si creano fra soggetti, come essi comunicano fra di loro, come vengono chiamati i soggetti che partecipano alla costruzione di queste risposte, e come si fanno conoscere. La seconda dimensione è quella dell’ istituzione pubblica, rispetto alla quale ci si interroga su come essa si ponga di fronte a questi nuovi fenomeni, perché pensiamo che il ruolo della pubblica amministrazione diventi sempre più fondamentale come “regia” nella costruzione delle risposte. Nel terzo caso si è indagato su come si esprima il concetto di valore condiviso a livello economico-organizzativo per comprendere come l’attuazione di questa nuova formula avesse ricadute all’interno del mondo imprenditoriale.
Cosa sta emergendo dall’indagine?
Siamo a buon punto, abbiamo identificato i primi casi segnalati, abbiamo fatto una prima scrematura rispetto ai prerequisiti e siamo andati a intervistare una decina di esperienze.
Ciò che sta emergendo chiaramente è che abbiamo bisogno di approfondire, andare di nuovo sul campo per mettere in luce questo sistema di relazioni. Anche se è presto per giungere a conclusioni complessive, possiamo affermare che ci sono già alcuni esempi di interesse rispetto a questo nuovo fenomeno.
Quello che emerge sino ad ora nei casi indagati, frutto dei tempi in cui stiamo vivendo, è che spesso i beneficiari di queste risposte sono un pubblico nuovo. Spesso infatti le risposte non riguardano fasce di bisogno estremo ma fasce nuove e questo è interessante dal punto di vista della capacità delle imprese di leggere e rispondere ai nuovi bisogni.